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Categoria: Varie
Il grillo parlante

06 novembre 2009
Non occorre particolare spirito di osservazione per accorgersi come, di quadriennio in quadriennio, il Regolamento di Regata diventi più complesso, sofisticato e, talvolta, di difficile interpretazione. Chi ha la fortuna di possederne una vecchissima edizione, diciamo dell’inizio secolo passato – ne esistono delle belle riproduzioni a cura dei Circoli più illustri - rimane stupito nel constatare che quelle pochissime pagine, scritte in un linguaggio aulico ed elegante, sarebbero ancora valide per gestire correttamente una regata. Eppure il regolamento attuale di pagine ne conta ben 303, sia pure in versione bilingue! Quali le ragioni di una tale esplosione di regole e di appendici? E’ vero, la vela si è evoluta, i modi di regatare si sono moltiplicati, le barche non sono più le stesse. Ma non credete che il cambiamento, piuttosto che dalle regate, sia stato favorito dai comportamenti dei regatanti?
La Vela è stata sempre considerata, nell’opinione comune, uno sport elitario, di difficile pratica, piuttosto costoso, quasi proibitivo per i più. Ho sempre considerato sbagliate queste convinzioni. In parte sarà anche vero, ma in tanti anni ne ho conosciuti di ragazzi che son riusciti a trovare il modo di andar per mare e far regate senza spendere un soldo! Il popolo della Vela mica è fatto di soli armatori !
L’aspetto elitario che invece mi è sempre piaciuto sottolineare riguarda la natura del nostro sport, in termini di stile, di ambiente, di comportamenti. Vi sarete accorti, e certamente un po’ compiaciuti, di come il velista, appena si dichiara tale, venga guardato con una malcelata ammirazione e benevola invidia. Ciò deriva dalle immagini che, al solo nominarlo, il nostro sport trasmette all’immaginario collettivo: Bellezza, pulizia morale, correttezza, rispetto assoluto e condiviso delle regole.
Fino a qualche tempo fa se violavi una di queste regole di regata, anche in modo veniale, eri vittima di “morte immediata”. Se ti rendevi conto che la colpa era tua dovevi ritirarti immediatamente dalla competizione, in silenzio ed a testa bassa. Il rispetto delle norme, come dell’avversario, era scontato e naturale.
Poi, progressivamente, sotto la spinta della maggior diffusione, degli interessi – spesso c’è in ballo molto più che la soddisfazione di un bel piazzamento – delle violazioni ignorate e dell’aggressività crescente, i responsabili internazionali, per correre ai ripari, hanno cominciato ad introdurre varianti ed aggiunte che hanno complicato sempre più la vita dei regatanti e degli Ufficiali di Regata, per la gioia dei cacciatori di cavilli e , sempre più spesso ormai, degli Avvocati.
Purtroppo è nei protagonisti, come si è detto, che dobbiamo cercare le ragioni del cambiamento. Per averne conferma basta seguire una regata, non importa dove, non importa quale, o di quale classe. Alla partenza, ai passaggi di boa, agli incroci, all’arrivo, udrete, sempre più spesso, un ventaglio di espressioni degne di una curva da stadio. Regatanti o istruttori, maschi o femmine, giovani o meno giovani , il campionario delle proteste e delle rimostranze è ricchissimo, sino a sfociare nel turpiloquio. Non sfuggono agli insulti gli Ufficiali di Regata, che sono spesso apostrofati e trattati alla stregua di arbitri di calcio, senza peraltro godere dei lauti … risarcimenti a questi ultimi riservati .
Motivi di tristezza, in particolare durante le regate giovanili, sono spesso forniti da coloro ai quali i ragazzi vengono affidati perché si insegni loro a vincere, a perdere, a vivere.
Taluni di questi, che si chiamino istruttori, allenatori o accompagnatori, consapevoli forse di una più che probabile impunità, assumono atteggiamenti da Rambo quando, a cavallo dei loro veloci gommoni, descrivono minacciosi cerchi concentrici intorno al battello del Comitato di Regata, come squali pronti all’attacco.
Impunità, abbiamo detto. Ma perché? Perché forse serpeggia una certa sfiducia nella nostra giustizia sportiva, lenta e mite? Per una sorta di timidezza nei confronti della prepotenza? Per indolenza da buona educazione? Talvolta è difficile comprendere la puntuale severità sulla “42” se confrontata con la rara applicazione della “69”.
Nessuno, persona o categoria, si senta offeso o criminalizzato, però qualcosa bisognerà pur dire e fare. Se ritenete che quanto avete letto sia esagerato o ingeneroso, prendetelo pure come una benevola provocazione. Ma un’ultima riflessione ce la dovete concedere:
Alzi la mano colui che – distratti Presidenti di Società compresi - non abbia mai pronunciato, da una cattedra, in un salotto, davanti ad un caffè, in una conferenza stampa, le seguenti parole: “ La Vela è soprattutto Scuola di Vita”.
E allora?