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Vela LNI Procida - Varie
Riccardo Apolloni racconta l’epilogo della sua minitransat

02 novembre 2009
Taglio la line d’arrivo con la morte nel cuore.
C’è un nuovo demone che mi tormenta.
L´ho battezzato "lo Sfizio".
Lo Sfizio ha il volto scavato, olivastro, capelli radi e scuri. Fuma una
perenne sigaretta. Di notte ne posso sentire l’odore.
Lo Sfizio mi ha giocato di fino. L’ha presa alla lontana.
Di giorno mi ha incitato.
"Proviamoci, mancano solo 200 miglia. Si può fare. Francisco non è lontano,
almeno non troppo. Francisco rallenterà di sicuro, appagato per la vittoria
in generale"
Di notte mi ha tenuto compagnia. E’ l’ultima notte d’aliseo, penso. Notte
stellata e ventosa. Io barro, la barca plana contenta. Ho l’umore alle
stelle.
Poi vorrei rallentare. "Tieni duro, tieni duro" mi imbroglia la testa.
Quando rompo il timone lo Sfizio si eclissa, per un po’. Forse ha capito che
mi spegnerò da solo e mi lascia fino al tramonto con i mie casini: domare la
barca impazzita e non rallentare, almeno non troppo. Continuo a esaurire le
pile.
Sono stanco e svuotato. Niente arrivo in volata ed ancora una notte per
mare. 60 miglia all’arrivo.
Poi il vento cala e il mare si fa tranquillo. Lo "Sfizio" ritorna e mi
culla. "solo 60 miglia, solo 50, solo 40, dormi tranquillo". La notte si fa
dolce, la barca si lascia portare, il pilota lavora. Sono felice in cuccetta
"è fatta". Mi godo la notte. L’ultima notte.
Poi la sua risata beffarda esplode nella mia testa. Copre il rumore
dell’onda. Di un onda bonaria buona a fraci giocare i bambini su tavolette
di schiuma. La barca si impunta, si gira. Lo Sfizio ride di gusto.
Salto fuori dalla mia felicità e non capisco. Poi vedo l’ombra nera delle
palme che si allungano sul mare. "incagliato, spiaggiato"
Ammaino le vele e chiudo il tambucio prima di lasciare la barca. Cammino con
l’acqua alle ginocchia fino alla riva, poi mi volto e vedo la barca, la
faccia olivastra dello Sfizio e la brace della sua perenne sigaretta. La sua
risata grassa copre il rumore del mare.
Finita. Finita.
No non può finire cosi’. La regata è finita, persa, buttata. Ma la barca no,
non posso lasciarla così.
I due tizi che mi vengono incontro sulla spiagga sono sbalorditi quanto me.
Ma capiscono in fretta. La marea monterà poco dopo l’alba. A poco da quì c’è
un piccolo gruppo di barche da pesca.
Sono due ore di tregua. La barca incagliata ed io bevo un caffè con i due
tizi aspettando i primi cenni di vita dell’alba.
Alle sei sono alle barche da pesca a chiedere aiuto.
Parlo un improbabile spagnolo "il barco, un cordo". Poi disegno
sulla sabbia una barca con un albero lungo in modo spropositato ed un bulbo
piccolo piccolo. Una corda parte dalla testa dell’albero e finisce ad una
seconda barca. La corda è tesa.
L’uomo più anziano guarda il disegno e capisce.
Alle sette una barca da pesca tira il Mavie dall’albero e dieci mani lo
spingono via dalla battigia.
La barca inclinata sul fianco riprende a galleggiare.
Tira capitano, tira ora, tira fino al largo.
Nuoto dietro la barca. Il fiato mi esplode quando risalgo a bordo e rido.
Rido più forte che posso e batto i pugni sulla coperta.
Alle otto la barca galleggia tranquilla alla boa e facciamo festa sulla
spiaggia.
Gente splendida!
Ci vorranno 48 ore per riprendere il mare.
Si Sfizio, la regata è andata, perduta. Il sogno incrinato. Ma il viaggio è
salvo.
Ripartirò al tramonto per queste ultime 30 miglia di mare. Voglio navigare
ancora di notte per fare pace col mare e la mia coscienza. Per parlarti
demone, lo so che mi tormenterai a lungo, che mi terrai compagnia ancora.
Non sei il solo, non sarai l’ultimo.
Riccardo

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